Menu principale:
Il Percorso
Il percorso si snoda per circa 4,8 km nei Palù nel comune di Moriago della Battaglia, con una piccola parte nel Comune di Farra di Soligoed unisce la Chiesa Parrocchiale di Moriago con quella di Mosnigo.
Si parte dai pressi della Chiesa parrocchiale di Moriago, sotto l'antica Torre "Da Camino", che testimonia la storia medioevale di Moriago, risale al XII sec., passando vicino ad un vecchio mulino, il Mulino Zanoni. Dopo aver percorso il sentiero dei Palù n° 9 ed aver superato le "Risse", tipico esempio dei campi chiusi dei palù, dalla forma stretta e lunga, deviamo per il percorso 7b, che ci condurrà nei pressi dell'area degli impianti sportivi comunali. Continuiando verso nord, si raggiungono le "Buse de la Moma" due stagni immersi nella vegetazione originati da antiche cave.
Proseguendo ancora verso nord, si arriva al ponte sul torrente Raboso, anticamente chiamato "Pont Vért"; da qui si prosegue per un breve tratto sulla strada asfaltata che conduce a Col San Martino. Svoltando poi a sinistra sopra il Torrente Raboso, su un ponte in cemento, proseguiamo verso sud-ovest, sul sentiero 7a, dove rientreremo nei palù sopra l'abitato di Mosnigo; proseguendo sempre verso sud-ovest arriviamo al cimitero di Mosnigo. Da qui alla Parrocchiale ed al centro Polifunzionale posto a circa 100 metri da quest'ultima.
Il percorso non è un anello.
Luogo di Partenza: Torre Da Camino (XII sec.) - Moriago della Battaglia
Tempo di percorrenza: 1,45 - 2,00 con passo normale e pause.
Difficoltà: Facile, adatto a tutti (percorso non adatto ai passeggini);
Periodo Consigliato: Tutte le stagioni, in autunno i colori sono stupendi;
Lunghezza: 4,80 km circa
Dislivello: Pianeggiante - 100 m di dislivello circa.
Abbigliamento: Il percorso si svolge, per alcuni tratti, su zone umide e richiede l'attraversamento di brevi tratti prativi.
Si raccomanda dunque l'uso di scarponcini da escursionismo o stivaletti per mantenere i piedi asciutti. In estate sono adatte anche scarpe leggere.
I PALU’
Il nome "pagano" di palude ancora permane dopo la "buona" e cristiana bonifica: una "regola" fatta di fossi, canali, siepi e filari. L'importanza naturalistica e paesaggistica della zona è legata alle particolarità geologiche del suolo, di qualche metro più basso rispetto alle aree circostanti e costituito da stratificazioni argillose, quindi impermeabili. Per tale motivo le acque della fascia collinare convogliano qui e, riemergendo nelle numerose risorgive, generano un'area paludosa, da cui deriva il nome. Questa caratteristica è stata sfruttata dall'uomo per ottenere un sistema produttivo rispettoso dell'ambiente fin dal XII secolo, quando fu eseguita una bonifica ad opera dei monaci benedettini dell'abbazia di Vidor, che trasformarono l'acquitrino in un sistema ordinato di prati e canali di drenaggio, grazie ai quali il terreno veniva regolarmente irrigato, permettendo una produttività maggiore rispetto al rimanente Quartier del Piave. Il nome dei "campi chiusi", di cui si possono osservare degli esempi ancor oggi, deriva dalle bonifiche: gli appezzamenti erano circondati da filari di arbusti e di alberi d'alto fusto, che avevano il duplice compito di proteggere i canali dall'erosione durante le piene e i prati dall'eccessivo calore estivo, oltre che di fornire legna da ardere e materiale per la costruzione di vari utensili di lavoro.
Sostenibilità e Tutela
I Palù del quartier del Piave fanno parte della Rete Natura 2000, un’insieme di zone protette istituite dalla Comunità Europea. In particolare i Palù sono stati classificati come Sito di Importanza Comunitaria (SIC), ai sensi della Direttiva Habitat 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli Habitat naturali e seminaturali della flora e della fauna selvatiche, qui rappresentati maggiormente da praterie magre da fieno a bassa altitudine (Alopecorus pratensis, sanguisorba officinalis), praterie con Molinia su terreni calcarei, torbosi o argillo-limosi (Molinion caeruleae), foreste alluvionali di Alnus glutinosa e Fraxinus excelsior (Alno-Padion, Alnion incanae, Salicion albae), boschi planiziali a dominanza di Quercus robur e Carpinus betulus.
Proprio per la salvaguardia di questi ambienti di pregio, oramai sempre più rari, la zona è soggetta a specifiche normative di tutela.
E’ auspicabile, quindi, che questa sistemazione agraria mantenutasi in parte fino ad oggi, continui a conciliare in modo sostenibile la produzione agricola con il rispetto degli equilibri ambientali e della biodiversità.
Genesi geologica
I Palù del Quartier del Piave, uno degli esempi di paesaggio a "bocage" più integri d’Europa, sono costituiti da un retico lodi siepi e fossati che delimitano prati e campi, detti, perciò, "campi chiusi".
L’area dei Palù si estende, conformata a triangolo, per circa 1000 ettari nei Comuni di Farra di Soligo, Moriago della Battaglia, Sernaglia della Battaglia, e Vidor.
Questo lembo di territorio ha origini risalenti alla glaciazione del Quaternario, l’era geologica in cui l’alternanza delle correnti fluviali e fluvio-deltizie, in successive fasi di asportazione e di rideposito, hanno messo a nudo limi ed argille profonde.
Si è formato, così, uno strato di sedimenti fini ed impermeabili, altimetricamente più basso rispetto alle zone circostanti e delimitato dalle conoidi ghiaiose del fiume Piave a Sud e del fiume Soligo ad Est.
I Palù costituiscono per questo un naturale invaso di raccolta delle acque di scorrimento superficiali e di quelle sotterranee riaffioranti, provenienti dal bacino imbrifero prealpino e collinare posto a monte.
Si giustifica, così, il toponimo Palù, per significare una naturale vocazione di questo territorio a strutturarsi in ecosistema di palude.
Dall’ Età del Bronzo al basso medioevo
Nel corso dei secoli, per le sue peculiari caratteristiche ambientali paludose, l’area rimase selvaggia, impraticabile e ricoperta da una fitta boscaglia.
Le prime tracce umane risalgono all’ Età del Bronzo. A Sernaglia, nell’area denominata Castelik, sono stati rinvenuti frammenti di macine di pietra, di ceramica e di selce lavorata, che testimoniano la presenza di un insediamento umano recintato con pali in legno, precursore del castelliere basso medioevale, di cui sono stati ritrovati numerosi sedimi in cotto, resti dell’antica cinta di fondazione.
E’ soltanto con i monaci benedettini, provenienti da Pomposa ed insediatisi nell’ Abbazia di santa Bona di Vidor, agli inizi del 1100, che la palude viene definitivamente bonificata ed assume, così, l’aspetto che ancora oggi, in parte, conserva. I monaci attuarono sull’area una grande opera di regimazione idraulica e di ripartizione fondiaria, trasformandola in una ordinata successione di prati, siepi e fossati, sul modello della loro immagine del mondo e dell’uomo. Ribattezzarono "Valbone" l’intero ambito dei Palù e vi diffusero tutta una serie di toponimi tipicamente benedettini (La Dolza, Cal Bazia, Cal Fiorentina, Le Granze, ecc.) ad espressione del nuovo equilibrio ambientale creatosi per opera dell’uomo.
Le tre specie simbolo della siepe
L’assetto dei campi chiusi aveva, per i monaci, un valore che andava oltre l’aspetto pratico legato alla produttività agricola. C’erano molteplici e profondi messaggi spirituali, fondati su una simbologia tipicamente medioevale, una tra questi rappresentava i percorsi dell’uomo verso Dio. I tre alberi della siepe individuati quali icone sono: l’ Ontano, al livello più basso, simbolo della fisicità dell’uomo, ovvero del corpo; il Salice, al livello intermedio, icona dell’ anima, la Farnia, al livello più alto, simbolo dello spirito.
L’ Ontano nero (Alnus glutinosa), detto re della palude, svolge una importante funzione di sostegno delle sponde dei fossi e di filtro per la palude. Quando non è soggetto a taglio a ceppaia, raggiunge anche i 20-25 metri di altezza e la chioma si presenta conica.
Il Salice bianco (Salix alba) deve il nome alle foglie lanceolate ricoperte da setosi peli bianchi. Tende a formare nel tronco delle grandi cavità, che diventano preziosi siti di nidificazione, ad esempio per la civetta, l’upupa o il torcicollo, mentre in inverno offrono un riparo confortevole per piccoli mammiferi come il ghiro.
La Farnia (Quercus robur) è un albero dal portamento maestoso con rami sinuosi ed allargati che permettono alla luce di entrarvi abbondantemente. Le foglie sono lisce e lobate, con un picciolo molto corto. Le ghiande sono attaccate al ramo con un lungo peduncolo, da cui il vecchio nome scientifico della farnia: Quercus peduncolata.
Il Mosaico dei "campi chiusi"
I Palù si connotano come un paesaggio agrario a "mosaico" essendo caratterizzato da un susseguirsi di appezzamenti dalla forma generalmente rettangolare, orientati con l’asse longitudinale nord-sud per ottimizzare l’esposizione solare e sagomati a schiena d’asino per migliorare il deflusso del terreno impermeabile. In origine i monaci avevano delimitato con siepi i quattro lati di ogni fondo, per conseguire una pluralità di scopi quali il sostegno degli argini dei fossati, la funzione di frangivento, la regolazione della escursione termica giornaliera, la produzione di legna da ardere e di frutti selvatici. Inoltre le siepi costituivano un habitat ottimale per la selvaggina.
Le tipiche siepi dei Palù, osservabili tutt’oggi, si strutturano su tre orizzonti di diversa altezza:
• Uno ad alto fusto, dove predominano farnie, pioppi neri o platani, anche con esemplari di notevoli dimensioni;
• Uno a medio fusto, costituito da salici capitozzati a 2-3 metri dal suolo;
• Uno a basso fusto (arbustivo) molto vario, composto principalmente da ontano nero tenuto a ceppaia, associato a nocciolo, frangola, sanguinello, acero campestre, fusaggine, viburno, sambuco, rosa canina, biancospino, prugnolo, ecc.
Sotto le siepi si sviluppa una ricca varietà di flora tipica del sottobosco come la fragola, l’anemone dei boschi, il ciclamino, la primula.
In passato gli appezzamenti erano condotti principalmente a prato stabile per la produzione del foraggio, mentre in minima parte (ai margini dell’area) vi erano medicai e arativi coltivati per uso famigliare. Per incrementare il numero degli sfalci su alcuni prati venivano praticate le marcite (prà de aqua): una tecnica d’importazione monastica consistente nel far fluire sui prati un velo d’acqua, per isolare la conca erbosa dalle gelate.
Attualmente la conduzione agraria a prato polifita stabile è ancora in atto, molto spesso ad opera di piccoli proprietari di aziende agricole locali. La perdita di rimuneratività della coltura foraggera, legata ai mutamenti socioeconomici verificatisi segnatamente a partire dagli anni settanta, ha comportato, in alcuni casi, soprattutto nelle zone più marginali e meno umidi, il cambiamento dell’uso del suolo, indirizzandolo verso l’arativo ed il vitato.
Laddove, invece, i fondi presentano un maggior ristagno d’ acqua, non vengono sfalciati con regolarità (2-3 volte all’anno), si osserva il graduale ritorno alla condizione di palude, con una successione ecologica che va dalla iniziale dominanza di carici, equiseti, giunchi ed altre specie igrofile, sino alla ricostruzione della boscaglia con farnia, ontano, sanguinello, ecc.
La fauna
La grande varietà di microambienti presenti nei Palù, data dalla compresenza di acqua, spazi aperti prativi e siepi strutturalmente complesse, garantisce una elevata biodiversità anche delle specie animali. Tra i numerosi invertebrati è presente il rarissimo "Osmoderma eremita"
Si possono incontrare rappresentanti di tutte le classi dei Vertebrati, comprese specie oramai altrove scomparse.
Tra i pesci che abitano fossi e torrenti, la sanguinerola (Proxinus proxinis) e lo scazzone (Cottus gobio) indicano una ottima qualità dell’ acqua. E’ presente anche la rarissima "Lampreda padana" (Lethenteron zanandreai), che, in realtà, non è un vero pesce, ma appartiene alla classe dei ciclostomi.
Numerosi sono gli anfibi che trovano in questa zona umida condizioni ambientali ideali, ad esempio: il tritone crestato (Triturus carnifex), l’ululone dal ventre giallo (Bombina variegata), la rana di Lataste (Rana latastei), la raganella (Hyla arborea) ed il rospo comune (Bufo bufo). Quest’ ultimo ha una importante zona di riproduzione nelle "Buse de la Moma". Tra i rettili è stata avvistata la rara testuggine d’acqua (Emys orbicularis), oramai altrove quasi scomparsa per l’alterazione dell’ habitat.
Notevole è la presenza dei mammiferi nella zona, molti dei quali con abitudini notturne e sotterranee, come toporagni d’ acqua (tra cui Neomys fodiens), crocidure, arvicole e topi selvatici, le prede principali della volpe (Vulpes volpe), carnivoro molto adattabile che non disdegna grossi insetti in estate e bacche in autunno.
Sono frequenti la talpa (Talpa europaea), il riccio (Erinaceus eurpaeus), il ghiro (Mioxus glis), il moscardino (Muscardinus avellinarius), la donnola (Mustela nivalis), la lepre (Lepus europaeus), ma è anche possibile incontrare il capriolo (Capreolus capreolus) o trovare le tracce del tasso (Meles meles). Sono ben rappresentati anche i chirotteri o pipistrelli.
Gli animali più facili da notare sono gli uccelli. La famiglia più rappresentata è quella dei Turdidi, con l’usignolo (Luscinia Magarhynchos) come specie nidificante ed il merlo (Turdus merulus), presente, invece, tutto l’anno. In estate emette il suo canto melodioso la capinera (Sylvia atricapilla), che giunge qui per riprodursi in primavera insieme ad altri migratori come l’upupa, il rigogolo, il cuculo e l’averla piccola.
Tra le specie stanziali vi sono, tra le altre, la passera mattugia, il verdone, il cardellino, il saltimpalo, le cince, il picchio muratore, il codibugnolo, la ballerina bianca, la tortora selvatica, i picchi, alcuni strigidi, la poiana, il martin pescatore, il fagiano.
Ci sono poi specie di solo passo, come gli anatidi e i limicoli, fra gli svernanti vi sono i regoli, alcune cince, il rampichino, il lucherino, il gufo comune.
Nei Palù sono stati osservati anche il falco di palude, il falco pescatore, la gru e, negli inverni più freddi, specie appartenenti alla fauna nordica.
La Flora dei prati umidi
I Palù-Valbone, come tante altre zone umide, rappresentano una "banca genetica", che racchiude, ad esempio, circa 445 specie vegetali censite, alcune delle quali rarissime. Da segnalare la presenza di diverse orchidee spontanee, tra cui l’ Epipactis palustris dai fiori biancastri e l’Anacampitis pyramidalis, oramai rara nella pianura veneta.
Il Giaggiolo siberiano (Iris sibrica) è una specie tipica delle aree fredde ed umide del Nord Europa, giunta in questo sito con le ultime glaciazioni. E’ una pianta rarissima in tutta la pianura padana. Nel mese di maggio le sue fioriture tingono di un meraviglioso azzurro-violaceo molti dei prati all’interno dei Palù.
La Genziana palustre (Gentiana pneumonanthe) è un’altra specia molto rara tipica degli ambienti umidi e torbosi, ora quasi ovunque scomparsa a causa della bonifica del suo habitat.
Il Carice (Carex sp.) detto "el Palù", cresce in abbondanza nelle zone più umide. In passato era molto ricercato per l’impagliatura di sedie e per la produzione di corde.